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Perchè ancora una volta si colpisce un mercato che senza aiuti di Stato genera ricchezza e consente a tanti proprietari italiani di integrare legittimamente il proprio reddito per pagare l’università ai figli, la badante ai genitori, un mutuo, fare la spesa senza angoscia, ecc?
Eppure l’incidenza degli immobili destinati ad affitti brevi, sui 35,2 milioni di case nazionali, è pari all’1,3%.
Intanto il calo della domanda estera, l’incremento di oneri, adempimenti, burocrazia e restrizioni sommati al caro vita, con la perdita del potere d’acquisto del ceto medio italiano (almeno l’8-10% dei proprietari la scorsa estate ha tolto l’immobile dal circuito short term utilizzandolo per vacanze di famiglia non potendo permettersi altro) riducono l’offerta: da 507mila annunci online del 2024 a circa 502mila medi (-1%), con la differenza che una parte consistente di questi annunci (circa 50mila) si sono trasferiti dal breve termine al contratto transitorio. Quindi, l’offerta di affitti a breve termine è diminuita di circa l’11% rispetto al 2024.
Lo abbiamo raccontato a Il Sole 24 Ore attraverso i dati del nostro Centro Studi e l’analisi del Presidente Marco Celani che avverte: «Se non si invertono i trend, il solo settore degli affitti brevi potrebbe registrare un calo di 5 miliardi di contributo al Pil a fine 2025 rispetto al 2024: è fondamentale che venga riconosciuto, soprattutto dagli enti locali, il contributo positivo che le famiglie italiane possono dare al Paese investendo e mettendo a reddito i propri immobili attraverso gli affitti brevi, e che cessi il proliferare di leggi regionali, regolamenti e variazioni forzate ai piani urbanistici con cui alcuni Comuni pensano di risolvere problemi che sono invece strutturali».