Caos affitti brevi, la stretta del governo va a vuoto e favorisce chi non paga l’Iva
Giuliano Balestreri
La pandemia di covid-19 ha avuto un forte impatto sul mercato degli affitti: la domanda è diminuita in Italia, mentre è cresciuta l’offerta dei proprietari
Per il governo è una stretta sugli affitti brevi. Un attacco agli evasori fiscali che secondo l’esecutivo approfitterebbero della cedolare secca pur non avendone diritto. L’obiettivo dichiarato del disegno di legge di Bilancio era quello di risolvere i dubbi sulla tassazione dei proventi da locazioni e così è stato messo nero su bianco che quando il proprietario ne mette in affitto più di quattro svolge attività d’impresa. Con il conseguente obbligo di aprire un partita Iva e far fronte a tutti i necessari adempimenti.
Sulla carta sarebbe anche un norma di buon senso, non fosse che il governo ha indicato probabilmente un numero a caso ignorando quale sia la reale situazione del settore sui voleva intervenire. “Non c’è alcuna stretta perché le persone fisiche proprietarie di cinque appartamenti che li affittano a breve termine, rappresentano una casistica che semplicemente non esiste”, per Marco Celani, co fondatore e amministratore delegato di Italianway è da poco presidente di Aigab, l’Associazione italiana gestori affitti brevi, la misura è solo un buco nella acqua: “Su Italianway c’erano solo due proprietari in quella situazione. Poi gli abbiamo spiegato che era più conveniente creare una società immobiliare e lo hanno fatto. Come associazione gestiamo circa 6 mila appartamenti, sono in 8 ad averne più di quattro. E’ una norma semplicemente inutile. Anche perché in cambio hanno cancellato con un tratto di penna l’articolo 3bis del decreto legge 50/17 che prevedeva entro un anno la regolamentazione del settore. L’unica cosa di cui avremmo davvero bisogno”. Tradotto: più che una stretta, quella dell’esecutivo è una vera e propria rinuncia a normare un settore complesso, ma strategico.
D’altra parte uno dei principali problemi degli affitti brevi sono le centinaia di migliaia di proprietari che affittano tramite i vari portali internazionali perché a oggi non esiste alcun possibilità per verificare se versano la cedolare secca, se comunicano i dati richiesti per legge e se raccolgono la tassa di soggiorno. Per capire quanto la situazione sia confusa, basta leggere i dati relativi al comune di Roma: secondo l’amministrazione comunale sono 11mila gli appartamenti affittati a breve termine, ma sui vari portali ne sono risultano almeno 48mila.
“Il governo – prosegue Celani – avrebbe dovuto procedere a una semplificazione del settore per rendere più facile l’identificazione degli abusi e del sommerso”. Per esempio, secondo l’imprenditore, si sarebbe potuto definire a livello nazionale quali appartamenti o case possono essere soggetti alle locazioni brevi; pensare a un codice unico nazionale e a un metodo di calcolo e versamento della tassa di soggiorno uguale per tutti, ma anche prevedere sanzioni efficaci per chi non versa la cedolare secca: “L’esecutivo avrebbe dovuto rendere più sconveniente operare in modo diretto con le Ota perché in questo modo – legittimamente – non si versa l’Iva sulle commissioni. Quando invece la gestione degli appartamenti è affidata a un property manager italiano l’Iva, anche quella della Ota, viene dichiarata e versata”.
E il danno per le casse dello Stato è notevole: lo scorso anno Airbnb ha dichiarato un turnover in Italia di 2,2 miliardi, Booking – secondo alcune stime degli operatori del mercato – muove cifre molto simili se non superiori, numeri che portano il transato attraverso portali con sede fiscale all’estero a circa 6 miliardi di euro. Potenzialmente a fronte di 1,4 miliardi di commissioni, il Fisco potrebbe aver perso 300 milioni di euro di Iva.
“Purtroppo, il Governo non si è posto il tema di come far emergere e scoraggiare questo fenomeno e oggi anche i anche i proprietari singoli hanno una a operare direttamente sui portali online stranieri perché le commissioni sono così fatturate Iva esente. E questo – aggiunge Celani – crea uno svantaggio fiscale ai proprietari e distorce la convenienza rispetto agli operatori sommersi. Con il risultato che il privato preferisce il rischio del sommerso a quello dell’insolvenza di un affitto quattro + quattro”.
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