Coronavirus: gestori affitti brevi, discriminati da norma su seconde case
Aigab, ‘abitazioni gestite professionalmente prevedono protocolli di sanificazione certificati’
Roma, 21 gen. (Labitalia) – “O il governo non ha capito il settore, non lo conosce e non ne comprende né la realtà né le potenzialità ampiamente dimostrate, o sta scientemente tutelando gli interessi della sola ricettività tradizionale rispetto a quelli delle aziende che operano professionalmente sul mercato italiano degli affitti brevi e a medio termine, contribuendo a generare valore e ricchezza, oltre che occupazione ed entrate regolari per l’Erario, anche a vantaggio delle migliaia di proprietari italiani che hanno allestito le loro seconde case per trarne una rendita e arrivare alla fine del mese”. L’Associazione italiana gestori affitti brevi (Aigab), fondata dalle più grandi aziende italiane del settore e che rappresenta gli imprenditori del turismo professionale in appartamento, prende così posizione, in una nota, contro la decisione del governo di consentire, a chi si sposta fuori regione per lavoro, di pernottare anche una sola notte in hotel inibendo invece la possibilità di scegliere un’altra soluzione di soggiorno quale un regolare contratto di affitto breve sotto i 30 giorni.
E soprattutto prende posizione contro la decisione appena annunciata di consentire gli spostamenti fuori regione, oltre che nella casa di proprietà o in un’abitazione messa a disposizione da parenti, in una casa presa in affitto solo se per un periodo superiore ai trenta giorni ma con contratto firmato prima del 14 gennaio, fermando di fatto il settore.
“Francamente, ci appaiono decisioni incomprensibili – avverte – che peraltro non sono congruenti neanche con la necessità di arginare i contagi: se le case gestite professionalmente prevedono infatti protocolli di pulizia e sanificazione certificati, per il cui adeguamento gli imprenditori hanno speso migliaia di euro in dispositivi ad hoc, come si può essere certi che la casa imprestata dal parente, che magari vi ha soggiornato fino al giorno prima perché ne è il proprietario, sia stata sanificata e sia quindi sicura per i nuovi occupanti? E perché, se ci si sposta per lavoro fuori regione, è lecito pernottare in hotel ma non lo è affittare un intero appartamento ad uso esclusivo, sanificato e sicuro e con un regolare contratto da un operatore professionale registrato alla Camera di commercio che si fa garante anche di fronte allo Stato che tutti gli adempimenti richiesti a livello fiscale, burocratico e normativo vengano espletati?”.
“Parliamo di aziende che in questi mesi, fin dal crollo delle prenotazioni nel febbraio 2020, hanno fatto i salti mortali per difendere i propri dipendenti e tenere vivo l’indotto generato dal turismo professionale in appartamento. Come tutti gli imprenditori che non hanno intenzione di soccombere di fronte alla crisi, abbiamo messo mano alla cassa e trovato il modo per pagare gli stipendi ai nostri dipendenti, rimborsare le prenotazioni cancellate, pagare i fornitori, tenere vivi gli immobili con le manutenzioni programmate, alimentarne la visibilità sui portali anche internazionali in attesa che il turismo riparta e si possa riprendere a viaggiare”, sottolinea.
“E lo abbiamo fatto – rimarca – abbracciando anche la richiesta di centinaia di migliaia di proprietari di questi immobili che abbiamo in gestione e che non sono ricchi capitalisti con rendite fondiarie ma normali famiglie che hanno investito per avere un reddito integrativo, quello derivante dagli affitti brevi o a medio termine, senza perdere la disponibilità della casa e potendola utilizzare per le proprie esigenze in ogni momento”.
“Proprio nel momento in cui molti operatori stavano registrando la ripresa delle prenotazioni da parte di italiani in fuga da appartamenti piccoli e inidonei a consentire una qualità della vita soddisfacente (come famiglie con figli perennemente in Dad e genitori a lavorare da remoto fino a data da destinarsi che avevano optato per l’affitto, anche di diversi mesi, di case isolate, in montagna, al mare, in campagna, allo scopo di trascorrere mesi in smart working fuori città), il governo compie una scelta liberticida e discriminatoria”, incalza.
“L’esecutivo ha già inserito in Finanziaria – ricorda – l’eliminazione della cedolare secca per proprietari di più di quattro case destinate ad affitti brevi, generando comportamenti elusivi come comodati fittizi e gestioni sommerse e innescando l’uscita di questi immobili dal mercato ufficiale. Ora ci penalizza ulteriormente. Rappresentiamo quasi 30mila imprese che occupano migliaia di dipendenti con un indotto nelle ristrutturazioni, manutenzioni, pulizie, ristorazione; imprese non identificate da un unico codice Ateco, cosa che ha comportato l’esclusione di molti operatori dai ristori precedenti, che hanno registrato una riduzione media del 45-50% del proprio fatturato”.
“Chiediamo pari trattamento – denuncia – rispetto agli altri operatori dell’accoglienza e che si ufficializzi la decisione, per ora appena abbozzata, di superare il calcolo dei ristori basato esclusivamente sul calo di fatturato aprile 2020 su anno precedente e dei codici Ateco. Ci vorrebbe maggior coraggio, ad esempio innalzando la soglia del credito d’imposta dal 12% al 50% come era fino al 2019, per supportare le aziende che, pur in difficoltà, hanno dedicato il tempo a fare ricerca e sviluppo; è necessario supportarle prendendo in considerazione l’intera struttura dei costi fissi, se lo scopo è quello di dare ossigeno a chi ha puntato a mantenere in essere la propria capacità produttiva”.
“Il settore del turismo merita un’attenzione particolare, specialmente le imprese che gestiscono immobili per affitti brevi, demonizzate da una vuota retorica, ignorando il fatto che gli stakeholder sono milioni di proprietari di seconde case uniche e non latifondisti immobiliari”, conclude.
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